Il signor Luigi Cantoni è uno dei quarantuno soci fondatori della nostra associazione nonché papà di Sr. Laura, missionaria nell’Amazzonia brasiliana, che attualmente presta la sua opera nella missione di Maués a circa 300 Km. in linea d’aria da Manaus.
Luigi conosce bene la realtà della missione per esserci stato di persona. Infatti, in meno di dieci anni, è già stato per ben quattro volte in Papua Nuova Guinea e tre nell’Amazzonia brasiliana. Con questa intervista vorremmo che ci aiutasse a capire le motivazioni che lo hanno spinto a compiere queste scelte e andare oltre le nostre frontiere.
Quali sono stati i motivi che ti hanno indotto ad essere socio fondatore prima e così attivo nel dedicare buona parte del tuo tempo in missione poi?
Da quando mia figlia è entrata nella congregazione delle Missionarie dell’Immacolata è stato per me naturale considerarmi appartenente a questa grande famiglia. Inoltre, sono cresciuto in un ambiente in cui c’è sempre stata una particolare sensibilità nei confronti dei seri problemi che sono propri dei missionari e delle missioni in cui essi operano.
Considerando che sei già molto impegnato anche in Italia, che cosa ti spinge a partire per la missione ?
Il desiderio di mettere le mie forze a servizio di chi dalla vita non ha avuto ciò che ho avuto io e che può vedere in me una mano tesa che lo aiuti a crescere e a camminare insieme. Queste esperienze mi sono di grande aiuto. Sono ossigeno per la mia vita, mi donano un grande senso di serenità e pace interiore, mi inducono a meditare sulla nostra esistenza quotidiana e a comprendere quanta importanza diamo ai più futili dei nostri bisogni, dei nostri problemi ed alle più banali delle nostre aspirazioni e a quanto tempo e forze sprechiamo per rincorrere una felicità effimera che finisce per lasciarci sempre insoddisfatti e con un profondo vuoto dentro.
Che cosa ti ha maggiormente colpito delle tue esperienze in Papua N.G. e nell’Amazzonia brasiliana?
In Papua ho avuto modo di capire quanto la sua gente sia intelligente ed orgogliosa ma anche diffidente. Non è facile entrare in sintonia con questo popolo che, quando si rende conto delle motivazioni che ti hanno indotto a dare una sia pur piccola parte del tuo tempo per stare con loro, solo allora ti accoglie come amico. E’ un popolo che vive tra mille difficoltà, sia materiali che culturali, ma che dimostra molto interesse e voglia di apprendere, conoscere e diventare autosufficiente. E’ pertanto indispensabile stare con loro per aiutarli a soddisfare questi legittimi desideri e necessità. La popolazione dell’Amazzonia è decisamente diversa: estroversa, socievole e anche un tantino superficiale. Ad ogni tua proposta o richiesta non dirà mai di no, ma non avrai mai la certezza che farà quanto ti ha promesso. Ti fa subito partecipe della sua quotidianità, ti fa sentire uno di loro.
Non è molto disponibile ad apprendere, è fatalista, vive alla giornata. Al domani? “ci si penserà”. E’ famoso il loro adagio: “Quella cosa la farò – se Deus quiser – (se Dio vorrà)”. Comunque il loro modo di vivere non è solo fatalismo e superficialità, ma ha due grandi valori che sono la condivisione e la comunione. Tutto ciò che hanno e che fanno è condiviso.
Oltre a quanto ci hai già descritto, quali altre differenze hai riscontrato tra i due popoli?
Il papuano è un popolo caratterizzato ancora fortemente da una cultura indigena: pensa essenzialmente a se stesso e al proprio villaggio. Un esempio: un bimbo che rimane orfano di entrambi i genitori, se non ha parenti prossimi, é adottato dall’intero villaggio cui appartiene e gli verrà dato il nome del villaggio stesso. Gli amazzonesi, in cui si identificano razze diverse, come ho già detto sono molto più aperti e disponibili, si trasferiscono da una località ad un’altra con molta facilità e perciò sono capaci di gesti di solidarietà e di accoglienza tanto che, se muore una giovane mamma e lascia una schiera di bimbi, nessuno di loro rimarrà mai solo: nel giro di un paio d’ore saranno tutti accolti da famiglie delle quali diventeranno figli a tutti gli effetti.
Al termine di una delle tue esperienze da “laico missionario”, che cosa ti è rimasto dentro?
Una gran voglia di tornare a fare e rifare tutto ciò di cui sono capace, sia per le missionarie sia per la “loro gente”. A stare con loro scopri la reciprocità. Tu dai, e non è semplice retorica, ma ricevi anche. E’ una sorta di partita doppia della vita. Quando ero piccolo e si viveva di poco o niente, nulla veniva buttato. Tutto aveva un suo valore e così è anche per quella gente. Lavori e ti cade un chiodo: c’è chi lo raccoglie. Hai buttato la tua maglietta perché rotta: il giorno dopo la vedi indossata da qualcuno. Tu doni e loro contraccambiano.
In fondo: “ nessuno è così povero da non avere nulla da dare e nessuno è così ricco da non avere nulla da ricevere ”. E forse è questa la ricetta per la vera gioia e la vera felicità.
Vuoi fare una riflessione sull’essere socio di una ONLUS che ha come finalità la missione?
In primo luogo la gioia di poter condividere con le M.d.I. la loro stessa passione missionaria e quindi essere d’aiuto anche a mia figlia, Sr. Laura. In secondo luogo è una scelta legata anche alle mie molteplici capacità professionali: informatico, muratore, idraulico, elettricista, falegname, imbianchino, giardiniere, meccanico. Tutte attività utili dovunque ma ancor più utili in missione, dove posso trasmettere queste mie conoscenze alla gente che ho modo di incontrare, facendo uso di quanto hanno a disposizione, sia come materiali sia come attrezzature. La cosa importante non è solo dar da mangiare a chi ha fame ma insegnare loro come procurarsi il cibo.